Quel pomeriggio di un giorno da cagna

Capitolo 1
Scritto da Falena



L’odioso martedì.
Come ormai da un po’ di tempo a questa parte avevamo iniziato a chiamarlo in ufficio tra colleghi.
Il martedì era il giorno più brutto della settimana: il lunedì eravamo ancora immersi nelle reminescenze e nel relax del passato weekend, troppo stanchi per potersi immergere in una nuova pesante settimana di lavoro, e così, di comune accordo col capo, tutti i lavori più pesanti, stressanti e rompi palle che c’erano iniziavano il martedì.
Il mercoledì eravamo poi a posto con la testa: il weekend già lontano, il lavoro ripreso, i colleghi di nuovo intorno, gli assordanti squilli dei telefoni tutto il santo giorno nelle orecchie... avevamo ripreso a lavorare.
Ma quel martedì…
Il cocente sole d’agosto batteva forte su tutta Brooklyn, e sembrava rivolgere il suo ghigno ancora più incazzato proprio verso Gravesend. Nemmeno i vestiti leggeri riuscivano ad evitarmi di andare a fuoco. Unico sollievo era il fatto che di lì a poco la giornata sarebbe finita.
O almeno credevo.
Il dolce sorriso del capo mi metteva sempre a disagio.
Mentre si avvicinava alla mia scrivania col passo appesantito ormai dall’età e dal quel brutto incidente in barca, che gli costò la quasi totale funzionalità della gamba destra - Dio solo sa dove gli avrei voluto ficcare quel suo bel bastone di mogano con la testa di ebano - le vampate di caldo che salivano sul mio corpo si facevano sentire sempre di più.
Ma quel giorno il suo sorriso brizzolato, ingrigito dai lunghi baffi, non era rivolto a me. Tutti sapevamo delle sue tresche in ufficio, con più di una ragazza, ed oggi la fortunata vincitrice era Hannah, la puttanella della scrivania a fianco.
Gli si avvicinò per sussurrargli qualcosa, e dopo aver ricevuto risposta, il suo sorriso sembrava ancora più grande, come tale pareva il bozzo all’altezza del suo pacco, a sud della cintola dei suoi pantaloni.
Il sorriso ricambiato che gli offrivo mentre credevo si avvicinasse a me, si trasformò da cordiale in forzato, quando, con la sua mano ad accarezzare la mia spalla, mi affidò sorridente l’ultima commissione della giornata:
<< Questo assegno non si incasserà mai da solo, ho bisogno che tu vada in banca a versarlo per me... sai... oggi tocca a me passare a prendere la mia piccola in palestra. La madre è fuori, col suo nuovo compagno. >>
<< Certo Mr. Bartowksi, si figuri, la banca è di strada e... almeno loro hanno l’aria condizionata. >>
Stupido ebreo arricchito, figlio di una buona donna.
No. Per fortuna queste ultime parole non uscirono dalla mia bocca.
La sua piccola seduta alle mia destra. Quella era l’unica cosa che doveva prendere dopo il lavoro.
E adesso puoi smetterla di guardarmi nella scollatura, idiota.

Avevo lasciato l’ufficio da poco, quindici minuti prima dell’orario di chiusura della banca, ma già nell’ascensore, prima che questo mi lasciasse nella hall del palazzo, la canottiera bianca che indossavo era annodata sopra l’ombelico e la gonna era più corta, arrotolata in vita. Da questo punto di vista non vedevo l’ora di lasciare il lavoro per cercare di carpire con quanta più pelle possibile ogni raro alito di vento che soffiava in Avenue P.
A quell’ora del pomeriggio la banca era poco affollata e non mi ci sarebbe voluto più di tanto per depositare il suo amato assegno, che come una brava soldatina custodivo nella mia borsa.
La filiale della Chase Manhattan era lì all’angolo, dall’altra parte della strada, al piano terra.
Howard non era al suo solito posto, fuori dalla porta, evidentemente il caldo soffocante lo aveva costretto a cercare riparo all’interno degli uffici. Era una brava persona, almeno questa era l’impressione che avevo avuto quelle poche volte in cui avevamo parlato. Iniziava a starmi simpatico. Le sue avances ogni volta che ero in coda allo sportello mi lusingavano, ma uscire con una guardia armata, anche se con una bella e grossa pistola, mi metteva un po’ in agitazione, oltre naturalmente a quella ventina di anni che ci separavano. Non ero mai stata propensa a frequentare uomini molto più grandi di me. Ero rimasta scottata più di una volta da una relazione con un uomo più grande e così, dopo Philip, avevo deciso che da quel momento in poi avrei frequentato ragazzi della mia stessa età, o comunque non più grandi di me di uno o due anni.
Philip. Era tanto che non pensavo a Philip. Era finita ormai da quasi un anno, quando aveva deciso di trasferirsi più a sud, per cercare un lavoro stabile. Eppure ricordo con certezza che il mio ultimo ditalino era dedicato a lui. Quel ragazzo semplice dal sorriso intrigante, le spalle larghe ed i pettorali ben sviluppati. Il suo corpo da quarterback, la sua pelle sempre abbronzata e liscia, tutta liscia, anche dove non te lo saresti aspettato. Le sue mani forti mi facevano impazzire ogni volta che mi stringeva un seno o mi teneva per i fianchi mentre facevamo sesso, facendomi saltare e godere sul suo corpo. Facendomi ansimare e affannare alla ricerca del piacere, quello di entrambi. Non avevo mai condiviso con nessun altro quell’alchimia erotica che ci legava. Era come una droga. Una droga elevata all’ennesima potenza ma che non fa male, certo crea dipendenza come ogni altra sostanza, ma non fa male. Fa solo tanto, tanto piacere. Philip sapeva bene come prendermi, in ogni senso. Aveva sempre le parole giuste, e sapeva toccare le giuste corde. Come se qualcuno avesse fatto un calco di me e lo avesse poi riprodotto sotto forma di Philip. Lui era quello giusto. Lo diceva anche mia madre. E quando un genitore ti dice una cosa del genere allora puoi crederci, specialmente se a dirtelo è la donna che ti ha generato.
Ancora pochi metri e le mie pene sarebbero finalmente estinte. Dovevo solo attraversare l’ultimo incrocio e poi quel dannato caldo poteva andare a prendersela nel...
<< Signorina. Questo fiore glielo offre l’associazione umanitaria a favore dei diritti delle donne. E lei... potrebbe ringraziare con un’offerta? >>
<< No! >>

Come speravo: poca gente in fila, poca confusione, una dolce e fresca brezza nell’aria, profumo di limone che sale dai pavimenti lucidi e sempre puliti, cassiere sorridenti... cazzo, lo sarei anche io se maneggiassi soldi tutto il santo giorno, anche se non fossero miei.
Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Domanda interessante e lettura abbastanza affascinante per un ragazzo di quindici anni. Almeno lui aveva qualcosa da leggere durante il diradarsi della fila, anche se aveva l’espressione del ragazzino trascinato a forza lontano dalla tv dalla madre.
Di Philip K. Dick.
Certo, figuriamoci, ancora Philip. Non hai niente di meglio da fare oggi che venirmi dietro? Dopo tutto questo tempo credi di poter apparire un giorno nei miei pensieri e darmi il tormento? Dopo tutto il tempo in cui NON ho ricevuto una lettera, un telegramma, un piccione viaggiatore che mi dicesse Hey io sto bene, non ti ho dimenticata. Sai che ti dico? Vaffanculo. E stanotte non permetterti a tornare nei miei sogni come fai di solito, per scoparmi e poi lasciarmi di nuovo sola la mattina dopo… ma che cazzo è un androide?
<< Bè, di solito non sono io a ricevere fiori, ma a regalarli. >>
Il sorriso di Howard mi metteva sempre di buon umore. C’era qualcosa di rilassante in lui. Forse la sua sicurezza, la sua serenità, il fottersene di tutto e tutti. Forse il fatto che potesse essere mio padre. Naa, non era così vecchio.
<< E chi dice che debbano essere sempre le ragazze a ricevere fiori? >>
<< Il tizio qui davanti, che mi ha spillato 5 dollari per fare un regalo col cuore ad una persona che mi piace. Ma vedo che non sono l’unico ad esserci cascato. >>
<< Eh no, caro mio. Io so come ottenere ciò che voglio senza dare nulla in cambio. >>
<< Vorrà dire che un giorno lo insegnerai anche a me. >>
Quando il telefono squillò ed Howard si allontanò per rispondere il mio pensiero tornò ancora a lui. Alla nostra prima volta. La nostra prima notte insieme. Maledette pecore elettriche.

Era inverno. Fuori c’era la neve. Dentro un magnifico caminetto riscaldava i nostri corpi, oltre all’emozione e l’eccitazione della prima volta, ed una buona bottiglia di vino rosso.
La prima volta che il tuo uomo ti vede nuda è sempre eccitante, emozionante, ti fa salire il cuore in gola, anche se sai che gli piaci, se sai che non è per quello che lui ti ama.
La coperta accanto al caminetto ci riparava dal freddo pavimento.
I suoi baci mi piacevano. Sulle labbra, sul collo, sul petto, sulle spalle, ovunque fossero mi facevano sentire bene, desiderata, attraente, amata.
Non avevo idea che quella sera sarebbe successo. Non l’avevamo programmato, ma stavamo bene insieme. Stavo veramente bene col mio amore.
Le sue labbra percorrevano la mia pelle da un bel pezzo quando decisi che quella sera volevo regalarci qualcosa di stupendo.
Quando tolsi il maglione che portavo i suoi occhi fissarono i miei. Sorridemmo a vicenda. Il suo sguardo era eccitato come quello di un bambino la mattina di natale, il mio non doveva essere da meno.
Presi la sua mano e la portai sul mio seno. I nostri occhi continuavano a fissarsi. Non avevo freddo ma non era il fuoco a scaldarmi. Quando anche le sue labbra raggiunsero i miei seni dalle mie un sospiro suonò come un ti amo. Lui si fermò e mi baciò ancora una volta sulla bocca. Anche lui mi amava.
Ci spogliammo a vicenda della parte superiore dei nostri vestiti. Dalla felicità e dall’eccitazione il mio reggiseno volò quasi nel fuoco. Ci baciammo e abbracciammo a lungo, i miei capezzoli turgidi sfiorarono il suo petto mentre le mie mani cercavano di stringere il più possibile ogni muscolo del suo corpo al mio.
I suoi baci sapevano di felicità e la mia felicità iniziava a farsi sentire nei miei slip sottoforma di caldo e umido. La sua felicità era invece imponente, la sentivo premere contro il mio inguine, e più ci baciavamo, ci toccavamo, ci leccavamo e più la sentivo crescere.
Si sdraiò sopra di me e mi baciò tutta. Dal collo, per scendere poi sul seno, soffermandosi attorno all’ombelico. Ero estasiata dalle sue labbra, la sua bocca aveva voglia di me ed io avevo una immensa voglia di lui. Mentre sbottonava i miei pantaloni i suoi occhi divoravano il mio seno ed io lo stringevo per lui. Lo massaggiavo, lo baciavo, leccavo i miei stessi capezzoli per far crescere in lui la voglia di me.
Vedere un uomo eccitato per te, da te, è una cosa che mi agita gli ormoni in maniera smisurata. Philip non faceva assolutamente nulla per mascherare la sua eccitazione e questo mi esaltava ancora di più.
Quando anche i miei pantaloni furono lontani dal mio corpo le sue labbra percorsero per intera la lunghezza di entrambe le mie gambe: giù fino alle caviglie e poi di nuovo su fino al mio inguine.
Le sensazioni che provavo erano fortissime. Le sue morbide labbra bagnavano dolcemente il mio corpo ed adesso io stavo iniziando a bagnare la sua lingua.
Ero rilassatissima accanto al camino che ardeva disteso al nostro fianco. Seppur completamente nuda iniziavo a sentire ancora più caldo. Tenevo la sua testa su di me come a non volerlo far scappare, come a voler far durare quel momento il più a lungo possibile.
La sua lingua mi stava regalando momenti di puro piacere. Philip non era il mio primo ragazzo, ma con lui sentivo emozioni e piaceri che in precedenza non avevo mai provato, non così forti.
La sua lingua leccava ogni centimetro delle mie parti più intime, raccoglieva ogni goccia della mia passione.
Godevo flettendo la schiena e cercando di spingere verso la sua bocca i miei fianchi, per dirgli di continuare, di non smettere di assaporarmi, anzi, di aumentare il ritmo di quella danza che la sua bocca aveva iniziato. Ansimavo sfogando il mio desiderio sui miei seni. Stretti nelle gabbie che le mie mani avevano formato intorno ad essi e che, ad ogni passaggio della sua lingua su di me, continuavano a stringersi provocandomi quasi dolore.
Lo scoppiettio del camino accompagnava il nostro amore. L’odore di castagno che ardeva accanto a noi sfumava in tutta la stanza.
Emozionata ed impaziente, con un solo gesto, accompagnai i suoi jeans ed i suoi boxer ai suoi piedi, mentre, come un cagnolino che attende il lancio del bastone da parte del suo padrone, in ginocchio ai suoi piedi, fissavo i suoi occhi. Il mio sguardo percorse lentamente tutto il suo fisico fino ad arrivare al suo sesso. Sono più che certa di aver sgranato gli occhi quando lo vidi per la prima volta.
Lungo, grosso, nudo.
Mi avvicinai e lo strinsi al mio viso, accarezzandolo con la guancia, come si fa con qualcuno a cui vuoi manifestare il tuo affetto. Lo baciai tutto intorno prima di regalarci questo nuovo piacere e, quando arrivai a baciarlo sotto, la mia lingua giocò per qualche secondo anche lì, leccandogliene prima una e poi l’altra.
La mia lingua percorreva per intero tutta la sua maestosa lunghezza, ed i suoi occhi chiusi, a godersi quel momento, erano per me un afrodisiaco molto potente. Quando le mie labbra lo avvolsero per intero anche i miei occhi si chiusero, le mie mani raggiunsero le sue e si strinsero come se fossero un ponte di emozioni, emozioni che transitavano da me verso di lui e viceversa. Non era un volgare pompino, era una manifestazione sincera d’amore e affetto, riuscita anche bene devo dire… forse una tra le migliori che abbia mai fatto.
Sdraiati accanto al fuoco avevamo ripreso a baciarci. Le sue labbra erano morbide e le mie avevano più voglia che mai.
Philip era steso accanto al fuoco ed io sdraiata su di lui gli baciavo il collo ed il petto, l’ombelico, l’addome, i fianchi e poi ancora le mani e le braccia, di nuovo il collo ed il viso mentre le mie altre labbra erano impegnate in altri baci.
Avevo il cuore a mille quando, a cavalcioni su di lui, i nostri primi preliminari finiti già da un pezzo, avevamo iniziato la nostra cavalcata verso la vittoria.
Era la mia posizione preferita, non che avessi avuto modo di sfogliare il kamasutra e decidere tra tante, ma quella mi piaceva in particolar modo.
Le mani di Philip cingevano i miei fianchi mentre mi muovevo su di lui. I nostri occhi erano fissi gli uni su quelli dell’altra. Le mie mani posavano sui suoi pettorali allenati e leggermente madidi del suo sudore. La mia schiena era inarcata dal piacere ed i miei capelli sciolti fluttuavano liberi per l’aria che sapeva di castagno e vino.
Mi abbracciò a lungo quando mi stesi completamente su di lui per poter arrivare a sussurrargli tutto il mio amore, senza fermare i miei fianchi. Quando mi risollevai per facilitare la mia cavalcata le sue mani forti strinsero i miei seni. Adesso anche i suoi fianchi si muovevano sotto di me. Sentivo tutta la sua passione ed il suo ardore dentro di me, spingere e spingere per salire ancor più su, fin dove era possibile arrivare, pur non sembrando mai abbastanza.
I nostri respiri smorzati dall’affanno e le nostre fronti imperlate di sudore, i nostri gemiti cantati a voce alta, con gli occhi chiusi a concentrare tutti i miei sensi sul piacere che stavo provando, la meta era vicina ed io sentivo già l’inno solenne e felice della vittoria.
Freude, schöner götterfunken, tochter aus Elysium.
<< La senti… !? >>
<< Si la sento… calda, eccitante. >>
Wir betreten feuertrunken, himmlische, dein heiligtum.
<< No… la musica… >>
<< Si… sento le campane del nostro amore… >>
Deine zauber binden wieder, was die mode streng geteilt.
<< No… i tedeschi… >>
<< Cosa!? Quali tedeschi!? Cosa… >>
Alle menschen werden brüder,wo dein sanfter flügel weilt.
<< Niente, lascia stare… vengo… >>
Deine zauber binden wieder, was die mode streng geteilt.
Alle menschen werden brüder,wo dein sanfter flügel weilt.



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Sesso e psicoanalisi - Episodio 1

La nipote del dottore
Scritto da Falena



<< Salve a tutti.
     Sono la nipote di Sigmund Freud, ed oggi vorrei psicoanalizzare i vostri uccelli e le vostre vagine per capire se è vero o meno che l'amore sia solo una giustificazione al sesso e quest'ultimo sia il vero motore del nostro mondo. >>

Tutte le persone nella stanza, tutte allo stesso momento, fissarono attonite la dottoressa Freud. Alcuni scoppiarono a ridere. Furono invitati a lasciare la stanza. Altri continuavano a guardarsi negli occhi come a voler scoprire, dietro la retina dell'altra persona, se tutto ciò fosse uno scherzo o una barzelletta, per altro anche di pessimo gusto. Furono invitati a lasciare la stanza. La minor parte, due donne e tre uomini, si alzarono in piedi e nell'arco di tempo di un battito di ciglia, lasciarono cadere in terra i propri indumenti.
Le tende dello studio lasciavano filtrare la fioca luce del tramonto dalle finestre. Le lampade sfumarono i propri raggi creando così la giusta atmosfera carica di sensualità. Il sesso era diventato d’un tratto percepibile all'olfatto e  l'eccitazione era palpabile, forte.

La segretaria annullò gli altri appuntamenti dalla sua scrivania, all'ingresso dell'ufficio, nella stanza a fianco a quella in cui tre uomini e due donne erano ora completamente svestiti. Le bastarono poche telefonate: la giornata era quasi finita e la dottoressa non aveva molti impegni per le 19. Neanche lei.

I membri eretti dei tre uomini rimasti svettavano fieri in aria, mentre i loro occhi divoravano le curve ed i sessi già umidi delle due donne.
La più giovane di loro aveva preso ad accarezzarsi i seni. I suoi capezzoli turgidi erano poesia agli occhi famelici dei tre giovanotti.
Il camice della dottoressa scivolò a terra, scoprendo il suo corpo tonico completamente nudo. La sua lingua era ora intrecciata con quella della seconda donna in un bacio molto più che appassionato.
Il più duro dei tre si avvicinò alla ragazza rimasta libera, passata ora dall'accarezzarsi a leccarsi i seni. La prese per mano e la condusse ad accomodarsi sul lettino della dottoressa, dove si sdraiò comodamente, allargò le gambe e spinse la testa dell'uomo verso il suo inguine, bramosa di sentire la lingua umida di quest'ultimo sul suo corpo.
Il secondo dei tre uomini si avvicinò al lettino. Il suo glande gonfio sfiorava le labbra della donna sdraiata mentre le sue mani cercavano in ogni modo di capire se il suo seno fosse naturale o rifatto.
La dottoressa e l'altra donna divisero le loro labbra ed accolsero in mezzo a loro il terzo dei tre uomini. Si inginocchiarono davanti alla maestosità del suo obelisco e le loro lingue coinvolsero la cappella e le palle del giovane moro in una danza sensuale, pur continuando a fissare l'una gli occhi dell'altra.
I gemiti di piacere della donna sdraiata filtravano attraverso i muri dello studio. Anche la giovane e carina segretaria della dottoressa, nella stanza a fianco, iniziava ad eccitarsi al suono smorzato dall’affanno di quell’eccitazione
L’alveare della dottoressa colava miele in quantità industriale. Il lungo e duro sapore che aveva in gola era il più appetitoso che avesse mai assaggiato.
La sua compagna era risalita verso i pettorali dell'uomo, senza mai staccargli la lingua dal corpo.
I gemiti della signorina in poltrona cominciavano a farsi sentire anche al piano di sopra. Prontamente, l'uno dei due rimasto in piedi ad occuparsi di lei, le spinse l'uccello in bocca così da contenere il suo entusiasmo.
L'altro gentiluomo, ormai da un bel po’ tra le sue cosce, alzò per un attimo la testa. Cioccolato e fragola con una cascata di noccioline tritate mentre sto guidando il mio tir sulla A21 in direzione Piacenza, con cono grande, grazie: ma che cazzo… !? strane le cose che ti vengono in mente mentre lecchi una fica (anche se a me personalmente non è mai successo... di guidare un tir intendo).

Nella stanza accanto l’eccitazione non era da meno.
La ragazza, diligente collaboratrice della dottoressa Freud, si era trasformata nella sexy segretaria che inconsciamente risiedeva in lei: da Miss Jekill a porno Hyde. La sua giacca era volata in terra e la camicia che indossava sotto era sbottonata a sufficienza per consentirle di potersi palpare, in maniera scabrosa ed in totale libertà i seni, protetti da una fantasia retrò in bianco e nero, con raffinato pizzo a decorare la parte superiore delle coppe (solo 19,90€). L’orlo della sua elegante gonna era salito fino a scoprire il pizzo delle autoreggenti che indossava. Gli slip, anch’essi di pizzo nero come le calze, coprivano ancora la sua intimità ma il violento massaggio che stava stimolando la sua clitoride li stava inzuppando dei succhi del suo frutto.

I due uomini intorno al lettino si erano scambiati di posto. La donna sotto le loro grinfie era a quattro zampe, il suo sesso e la sua bocca avvolgevano le gioie dure dei due marcantonio. L’uomo alla sue spalle le cingeva i fianchi, tirandoli con violenza verso di sé ad intervalli regolari. L’altro, dalla parte opposta, le spingeva il suo piacere in fondo alla gola.
La lampada, il calendario con gli appuntamenti, il blocchetto degli appunti ed il portapenne della stessa pelle del piano centrale  della scrivania, erano in terra. Sul mobile la dottoressa era divenuta la troia del terzo uomo, mentre la sua bocca cercava di contenere la colata di fiamme vive che la sconosciuta, seduta sul suo viso, continuava a riversarle in gola.
L’unione della mucca (o pecorina se più vi piace) era la sua posizione preferita e stava facendo effetto alla svelta. Dalla sua cappella bagnata iniziavano a fuoriuscire i primi sintomi del suo orgasmo, era quindi ora di scambiarsi di posto ancora una volta e scoprire se la donna dalle tette rifatte (dopo quasi un quarto d’ora di palpate era finalmente riuscito a capirlo) era abbastanza troia ed eccitata al punto da ingoiare il suo caldo seme senza il minimo lamento.

Il 10% di cotone degli slip stava giocando bene il suo ruolo, ma era arrivato il momento di metterlo in panchina.
La signorina porno Hyde era vicina al suo meraviglioso orgasmo, gli slip erano ora superflui ed erano ora ai piedi della sua scrivania, dove i tacchi delle sue scarpe affondavano nella moquette color mogano. I suoi occhi erano chiusi ma la sua mente visualizzava tutto ciò che accadeva oltre la porta dello studio. La sua espressione tirata dalla goduria ricordava quel quadro che aveva visto esposto nella vetrina del sexy shop dietro l’angolo, pur non guardandosi allo specchio era questa l’immagine che aveva di se in quel momento. Lo sciacquettio dei suoi umori, confuso tra i suoni dei suoi sospiri ed i gemiti che filtravano dall’altra parte del muro, arrivava preciso alle sue orecchie. Nella sua mente tre uomini e tre donne si accoppiavano nelle posizioni che più le piacevano. Non era seduta sulla scrivania dove fino a pochi minuti prima aveva aggiornato le date delle sedute dei pazienti, era una di quelle tre donne. Lo era stata fin dal momento in cui i primi gemiti erano passati dalla sottile fessura che divide il pavimento dalla porta dello studio per raggiungerla. Aveva prima baciato il moro, quello che era arrivato per primo quella sera. Aveva poi slinguato il più fusto mentre l’altro le sussurrava che due seni perfettamente rotondi come i suoi non li aveva mai visti. Era stata in ginocchio davanti a due di loro. Aveva dato le spalle ad uno dei tre. Ad un altro ancora aveva dato qualcos’altro. Ora era arrivato il momento di prepararsi al gran finale.

La dottoressa Freud aveva già avuto il suo dessert.
La crema che il suo uomo le aveva offerto era buona, ma era troppa, oppure lei non aveva ancora imparato bene a deglutire, un po’ come i bambini, dato che buona parte del suo dessert le era colato sul mento e poi sui capezzoli. Ma era buona. Doveva esserlo dato che la sua compagna, quella che fino a poco fa andava a fuoco sul suo viso, cercava di leccare ciò che ne rimaneva dai suoi seni mentre il maitre chocolatier, portatore sano di tanta cremosa bontà al latte, tentava di estinguere una volta per tutte, con la sua lingua, il fuoco che divampava in quest’ultima. O di farla esplodere definitivamente.
Dall’altro lato della stanza, 6300 euro di silicone sussultavano armoniosi, offrendo piacere allo spiritello porcello avvolto in essi. Poco più a nord un atletico 32enne schiaffeggiava con il suo randello le labbra (naturali, queste erano naturali, si capiva) della stessa donna. La sua bocca si schiuse e, quasi come ad attendere l’ok della donna del monte, il suo persecutore le inondò la gola di quelli che, in un’altra occasione, sarebbero potuti essere i suoi bambini (ma lui non voleva avere figli quindi bene così). Gli occhi di lei fissavano eccitati ed intriganti gli occhi di lui. Gli occhi di lui fissavano eccitati e sborrosi gli occhi di lei. Chiuse la bocca per un attimo, poi la riaprì tirando fuori la lingua. Sì, era abbastanza troia. I suoi seni si erano fermati, lo spiritello porcello era pronto. Schizzi roventi di sperma ricoprirono parte dei suoi seni, del suo collo ed un piccolo ciuffo della sua frangetta. Allo stesso tempo il suo inguine venne riscaldato da una ulteriore gettata dei suoi umori. Il suo affanno si stava smorzando, così quello dei suoi due amanti. I loro volti erano soddisfatti. Il più alto ruppe il silenzio:
<< Cavolo… questa psicoanali… >>.
<< AAAAHHH >>.
L’urlo più assordante e spaventoso che ognuno di loro avesse mai sentito interruppe la frase.
La donna in fiamme era esplosa sotto gli abili colpi di lingua dell’improvvisato vigile del fuoco che tentava di spegnerla.
Contemporaneamente la dottoressa.

Pochi minuti dopo la porta si aprì ed i pazienti lasciarono lo studio. Ognuno di loro fissò un appuntamento per la settimana successiva. L’ultima ad andarsene fu la donna esplosa:
<< Signorina davanti alla sua scrivania c’è una pozza di… bagnato… e sa di… >>
<< Oh… ehm… ho inavvertitamente versato un bicchiere d’acqua… >>
<< Si ma… ci sono anche quelle che sembrano essere… le sue mutandine? >>

<< … >>
<< … >>
<< … >>
<< E poi cosa è successo? >>
<< Non lo so. >>
<< Non ricorda più nulla? >>
<< Mmm, no… come mai è affannato? >>
<< Ah… perché… soffro di una leggera forma di asma. Bene per questa settimana il nostro tempo è finito signorina. >>
<< Non trova strano che la dottoressa del mio sogno si chiamasse come lei? >>
<< No. I sogni non hanno sempre una spiegazione, specie una spiegazione razionale. >>
<< Strano detto da lei. >>
<< Potremmo parlarne meglio la settimana prossima, adesso ho un altro appuntamento, mi spiace doverla salutare. >>
<< Non si preoccupi, sono io che mi sono dilungata troppo. >>

La porta dell’ascensore si richiuse alle mie spalle dopo aver premuto il tasto del piano terra.
Pensavo e ripensavo. Non tanto allo strano sogno. Mi capitava regolarmente di fare sogni erotici e così bizzarri. Pensavo invece agli strani suoni alle mie spalle, dietro la poltrona su cui ero sdraiata: il rumore metallico di una cintola, l’affanno del dottore, quello strano sciacquettio… ne ero certa, e ne ero eccitata.
La distanza fino al piano terra era lunga, inversamente proporzionale alla lunghezza della mia gonna, ed a quell’ora l’ascensore non faceva mai tante fermate: la maggior parte della gente era già a casa.
Ne ero eccitata. Mi piaceva l’idea, cazzo se era intrigante. Mi stavo bagnando solo a pensarci. E solo a pensarci istintivamente portai una mano sotto la gonna. Spostai gli slip umidi che coprivano la mia fica e spinsi lentamente un dito dentro, quello più lungo.
Non c’era resistenza, ero eccitata, ero bagnata, calda, vogliosa, …
Mi appoggiai ad una parete dell’ascensore, portai l’orlo della gonna sopra i fianchi con una mano e piegai leggermente le ginocchia, allargando le gambe. Chiusi gli occhi, incurante della telecamera di sorveglianza.


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Che cazzo è sto blog?

Innanzitutto è un sexy blog.
Un blog in cui poter leggere, discutere e vivere il sesso, la sensualità, condividere la parte eccitante della vita, della giornata in ufficio o di tutto quello che capita nell'arco della giornata.




Benvenute e benvenuti dunque nel sexy blog Butterfly Eros.
Io sono Falena, la vostra ospite eccitante e sempre eccitata di questo peccaminoso e lussurioso angolo di cyber spazio.
Insieme a me alcune intime amiche si occuperanno di intrattenervi ed eccitarvi con storie di vita vissuta, racconti erotici, immagini sensuali e quant'altro.

Per interagire con le eccitate farfalline della rete potete commentare i vari post o seguire i contatti che trovate sotto la sezione CONTATTACI (mi sembra alquanto ovvio).
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